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18.1.12

The Fast and the Furious: Tokyo Drift



The Fast and the Furious: Tokyo Drift (USA, 2006)
di Justin Lin
con Lucas Black, Sung Kang, Brian Tee, Nathalie Kelley, Bow Wow

All'epoca, se osservato con occhio distratto (il mio, per esempio), il terzo Fast and Furious poteva sembrare quello della definitiva pietra tombale su una serie destinata al direct to video. Via entrambi i protagonisti "storici", cambio completo di tono e ambientazione, obiettivo puntato quasi esclusivamente sulle corse clandestine, incassi mondiali sempre ottimi rispetto al budget ma quasi dimezzati a confronto dei primi due film... a meno di essere appassionati dell'argomento, risultava facile ignorarlo e liquidarlo malamente. Sbagliando. Perché poi, in realtà, si trattava di un film fresco, divertente, con un ottima regia e un insospettabilmente bravo Sung Kang nel ruolo del Vin Diesel giapponese che si spara le pose e regala le massime di vita. Col senno di poi, inoltre, altro che pietra tombale: qui comincia la rinascita vera, fosse anche solo perché si vede l'ingresso in cabina di regia di Justin Lin e davanti al word processor di Chris Morgan, rispettivamente regista e sceneggiatore anche dei due tre quattro episodi successivi.

I due protagonisti, si diceva, marcano visita (anche se Vin Diesel regala una deliziosa apparizione nel finale che in America era stata tenuta nascosta e in Italia è diventata invece una roba da strillare in copertina per provare a venderci il film a tutti i costi). Viene quindi introdotto un nuovo cast, in cui sicuramente svetta il Sung Kang di cui sopra, fa la sua bella figura l'inevitabile manza interrazziale, stupisce per adeguatezza Lil' Bow Wow e mantiene solida la tradizione della serie di cattivi privi di carisma il povero Brian Tee. E poi ci sarebbe il protagonista, uno sconosciuto ma solidissimo Lucas Black, a cui bastano i cinque minuti iniziali di pellicola per mettere sul piatto più carisma di quanto ne abbia saputo estrarre Paul Walker negli interi primi due film. È dotato di espressioni, ha una gran cazzimma, è un ventiquattrenne che sembra trentenne e interpreta un diciassettenne, ha un accentaccio bovaro che levati ed è pure stato il quarterback dei Permian Panthers. Che gli vuoi dire? Stima, approvazione e ascoltatevelo in originale.

E di che parla, questo Tokyo Drift? Il caro Lucas è uno studente un po' teppista che si diverte a sfasciare le macchine per fare il ganzo con le donne altrui, ma viene beccato e spedito in punizione dietro la lavagna a vivere col padre, divorziato ed emigrato in Giappone. Qui scoprirà che le donne giapponesi lo attizzano, soprattutto se sono un po' gaijin, che anche se è un ottimo pilota c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare, che è importante assumersi le responsabilità dei propri casini eccetera eccetera. L'impianto narrativo è quanto di più ordinario e banalotto si possa chiedere, ma funziona a meraviglia perché funzionano gli attori (l'ho già detto che Sung Kang è ganzo?), perché Chris Morgan recupera quei tre elementi sensati del primo episodio nell'attenzione ai personaggi, nel mettere un coprotagonista affascinante al fianco del bisteccone bianco e nel regalare la mezza tragedia drammatica come motore alla base del gran finale. Ma anche perché Justin Lin riesce a dare corpo alla vicenda affondando almeno un po' nella sottocultura pop giapponese, non limitandosi ai classici stereotipi da americano in vacanza a Tokyo, ma dando la sensazione di tenerci a raccontare una vicenda davvero ambientata in quel posto.

E in più c'è Sonny Chiba che passeggia per il set con l'aria di un papa.

Poi, vale sempre quanto detto per il primo episodio: lungi da me sostenere che si tratti di una profonda analisi dello scontro culturale fra oriente e occidente, ma per quel che vuole essere e per il genere di film che è, il compito è svolto come si deve. In più, Justin Lin è anche uno che sa muovere la macchina da presa. Il tipo di competizione all'americana svanisce nel nulla e, anzi, viene pesantemente fatto a pezzi nella prima, umiliante, gara a cui il protagonista partecipa a Tokyo. Qua il tema è ben espresso dal titolo del film, e ci si ritrova davanti a una specie di Ridge Racer in cui le macchine non fanno altro che derapare, sempre e comunque, anche quando non servirebbe, per il solo fatto che non basta arrivare primi al traguardo ma bisogna farlo da ganzi. E le corse in macchina sono belle, dirette come si deve da un Justin Lin che si prende anche il lusso di buttare sul piatto una bella immagine con quella derapata che apre le acque dell'incrocio di Shibuya e regala una gara finale in montagna proprio divertente. Insomma, bene.

Nota di colore con spoiler annessi e che quindi potete evitare di leggere se non avete visto il film: l'avvenimento drammatico è la morte di Han, il ganzo interpretato da Sung Kang. Alla fine Vin Diesel appare e dice che conosceva Han. Han è un personaggio dei due successivi episodi della saga. Ne consegue che il quarto e il quinto film sono prequel di questo. Anvedi.

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